…in realtà non c’è nessun “ma”, perlomeno non nel senso in cui di solito finiscono le frasi che iniziano in questo modo. Il motivo è molto semplice: Lautaro Martínez è evidentemente più che un abbozzo di grande giocatore e ormai l’ha dimostrato, nel corso di questo suo primo anno e mezzo in Europa. Lautaro Martínez è già un grande giocatore, punto e basta. Allora, quel “ma”? Il “ma” serve solo a ricordarci che – occhio alle parole e alla comprensione del testo – ha addirittura ampi margini di miglioramento, ancora. Quindi evitiamo il lancio dello sterco in stile bonobo: qui si sta dicendo che Lautaro ha molto spazio per poter diventare un calciatore migliore essendo già molto forte, non che può genericamente migliorare perché è scarso. Nemmeno per idea, neanche per sbaglio. E il popolo interista dovrebbe prendere questa notizia con la giusta euforia perché il risvolto della questione è che il signor Martínez ha il potenziale per essere più di un grande attaccante: potrebbe infatti diventare un vero e proprio mostro.
I vari limiti che denuncia il numero 10 dell’Inter discendono tutti da un solo, grande difetto: parliamo del decision-making, come lo chiamano gli anglofoni. Le scelte di gioco, sic et simpliciter. Lautaro fatica a mantenere la stessa lucidità lungo il corso di tutta la partita perché appoggia moltissimo del suo stile di gioco a una componente istintuale che in lui è (per ora, almeno) preponderante. Come diceva ormai una vita fa l’amico Federico Raso tra una puntata di Spremuta di Enganche e un articolo per Rivista Undici, l’istintività è la matrice centrale dell’approccio alla partita del giocatore di Bahía Blanca. E per mantenere l’istinto sempre affinato e funzionante, l’intensità risulta necessaria: parliamo di un attaccante che ha bisogno di girare ad alto voltaggio con costanza per poter essere efficace. Paradossalmente, il troppo tempo per poter ponderare una giocata gli è nemico (perlomeno in questa fase della carriera, occorre ricordarlo sempre) e gli riesce molto meglio tutto ciò che richiede una risposta di puri riflessi, più che una di ragionamento. La tendenza compulsiva alla conclusione – accanto a una chiara difficoltà ad associarsi bene in fase di attacco posizionale (che sta limando ma che non ha ancora superato) – lo dimostra.
La prima e più evidente conseguenza di questa lucidità a targhe alterne di Lautaro è la non sempre perfetta precisione sotto porta. Come ha fatto notare anche Gabriele Gatti su Twitter, l’interista tende a segnare più spesso con le conclusioni più difficili che non con quelle facili nonostante sia agilmente il giocatore di Conte che si prende più tiri in assoluto. Questo deriva da un dato di partenza che è positivo: il grande volume di conclusioni che si prende a partita è infatti figlio del fatto che è estremamente efficace nel farsi trovare dai compagni (s’è detto molto in particolare della partnership con Lukaku ma non c’è solo il belga tra i giocatori che si associano bene con l’ex Racing: sorprendentemente è Antonio Candreva il compagno che si associa più e meglio con l’attaccante argentino).
Lautaro, come detto, è un punto di riferimento chiaro per chi gioca insieme con lui e ha nei suoi punti di forza un’ottima capacità di leggere le azioni d’attacco e farsi trovare nel vivo del gioco senza palla: è molto abile a riempire l’area coi tempi e i modi corretti e viene premiato dai compagni. Inoltre, nonostante non sia un granatiere, è un formidabile colpitore di testa in grado di vincere diversi mismatch in cui parte perdente per questioni puramente fisiche grazie alla sua coordinazione e al senso di palla. Il mix che si crea tra il suo tempismo, la sua innata copertura naturale della porzione centrale di campo e la tendenza dei giocatori dell’Inter a cercarlo ne fa il calciatore nerazzurro chiamato più spesso a finalizzare. A tutto ciò va anche aggiunto che, già di per sé, è un attaccante che ama molto tirare in generale, possibilmente ricavandosi lo spazio per farlo con delle giocate preliminari. La preparazione però non sempre gli riesce nel modo giusto e, a quel punto, Martínez tende spesso a concludere ugualmente, a volte ignorando i compagni: il díez argentino mediamente si fa murare 1,5 conclusioni a gara (per lui già 22 tiri bloccati in stagione. Per dare un’idea, Ciro Immobile ne ha messi a referto 9 nello stesso numero di partite di campionato, 14). Ne consegue che il volume di tiri dell’attaccante nerazzurro resta comunque alto a prescindere dall’efficienza ed è un’altra spia rispetto al problema della (talvolta scarsa) lucidità sotto porta.
In conseguenza del fatto che non disdegna mettersi in proprio se necessario, talvolta rinunciando ad associarsi con compagni meglio piazzati (segnale di una visione di gioco ancora imperfetta), su 59 conclusioni effettuate nelle prime quattordici giornate di Serie A, l’argentino ne ha fatte registrare ben 14 non assistite, per una facile media di una a gara: di queste, Lautaro ne ha trasformata in rete una sola ma, soprattutto, pur essendo tutte scagliate da dentro l’area, solo quattro volte (gol incluso) ha centrato la porta.
In generale, comunque, la selezione di tiro di Martínez è ancora ampiamente perfettibile: le conclusioni forzate sono troppe e non sempre può andare bene come a Brescia, dove il nostro ha fatto registrare un gol più improbabile che altro. Certo, se non si tira non si segna ma, a volte, bisogna anche inserire un po’ di criterio quando si va a cercare di finalizzare: per ora Lautaro non riesce sempre a fermare l’azione, voltarsi indietro e ricominciare per provare a ricostruire una chance migliore, preferisce tirare. In soldoni, preferisce l’uovo oggi alla gallina domani, se vogliamo utilizzare una formula proverbiale.
Anche il primo dei due gol contro la SPAL, nel grafico qui sopra rappresentato dal pallino verde più a destra tra quelli fuori area, se vogliamo, è molto controintuitivo (e quasi sbagliato, concettualmente): il 10 nerazzurro ignora il bel movimento a incrociare di Lukaku che finisce sulla sua sinistra nonché il fatto che il compagno ha tutto lo spazio per ricevere e controllare in una posizione migliore della sua ma prosegue la sua corsa e conclude con un tiro a incrociare dal coefficiente di difficoltà piuttosto alto. Forse Lautaro rompe ogni algoritmo da xG, forse per lui questo genere di giocate sono per assurdo più facili di quelle che per il resto del mondo sono più immediate, chi lo sa. Resta che i dati ci consegnano un giocatore che segna su situazioni che appaiono ormai compromesse e sbaglia scelte infinitamente più semplici. Sempre contro la SPAL, il díez ha sprecato l’occasione da gol più limpida che ha avuto in tutta la gara, cioè quando Lukaku gli ha servito un comodissimo pallone dentro l’area con un passaggio di prima semplicemente incantevole. L’attaccante belga ha letteralmente messo in porta il compagno, autore peraltro di un movimento splendido, con un tocco geniale ma Martínez si è perso in un bicchier d’acqua finendo per non riuscire nemmeno a concludere nel tentativo – andato drammaticamente a vuoto – di mandare al bar Berisha con un doppio passo. L’argentino si è dribblato da solo prima ancora di tirare: ancora una volta, c’è la sensazione che aver avuto tutto questo tempo per pensare a come finalizzare gli abbia reso la vita più complicata che altro.
Del resto, anche quando prova a far ricominciare l’azione talvolta perde troppi tempi di gioco per risultare efficace: chi segue abitualmente l’Inter ha infatti notato spesso che anche quando si costringe a rinunciare al tiro (e quindi alzare lo sguardo per individuare un compagno alle sue spalle o al suo fianco), Lautaro tende a essere molto macchinoso nell’attuare il processo, finendo per vedersi schermare tutte le opzioni di passaggio migliori e quindi perdere campo e ridurre la pericolosità dell’azione, muovendo palla all’indietro o sull’esterno.
Considerando i suoi mezzi tecnici notevolissimi, è lecito pensare che possa limare questo difetto e crescere decisamente in questo tipo di situazioni attraverso l’esperienza e le indicazioni degli allenatori. Peraltro va anche fatto notare che l’argentino sta lavorando molto su questo aspetto del suo gioco e rispetto alle prime uscite italiane è palese come si forzi a cercare più spesso di quanto non gli venga naturale una giocata associativa o comunque non orientata all’immediata creazione di un tiro. Certo, ancora non gli riesce con enorme naturalezza e, conoscendo lui per primo le sue difficoltà soprattutto a livello di tempismo, talvolta cerca di accelerare le operazioni con risultati non sempre accettabili.
Probabilmente la maturazione di Lautaro verrà naturalmente, insieme con l’accrescimento dell’esperienza e della sua maturità personale come calciatore. Le caratteristiche che gli servono per crescere in quelle porzioni di gioco in cui ancora non è perfetto sono già tutte presenti nel suo profilo e la capacità di giocare con lo stesso livello di rendimento e concentrazione anche quando si abbassano foga e fretta è qualcosa che i calciatori spesso acquisiscono col tempo (e, comunque, qui si parla di un elemento d’élite che certamente ragiona sul suo gioco e lavora sui suoi margini di crescita). Inoltre si diceva dei progressi già fatti registrare, dalla crescente capacità di scendere a dialogare coi compagni o ai tentativi più frequenti di far ripartire l’azione quando si trova di fronte a una strada sbarrata: provando a proiettare la crescita dell’attaccante argentino sui dati che ha già fatto registrare non si può che dormire sonni tranquilli.