Giugno 15, 2021

Guida alla Copa América 2021 – Argentina

Un'analisi al pettine fitto di tutte le squadre che partecipano alla Copa América 2021, giocatore per giocatore

By In Football, Streams Articolo di Federico Raso

Franco Armani (1986) – In condizioni normali, il titolare della Selección è il portiere del River Plate. È per questo motivo che Lionel Scaloni lo ha aspettato fino all’ultimo e se l’è portato dietro insieme ad altri tre portieri, dopo un mese di positività al CoVID-19 (sì, è già passato un mese dalla notte in cui Enzo Pérez si è messo i guantoni). In attesa di capire la sua condizione, il titolare è Martínez.

Emiliano Martínez (1992) – Il portiere dell’Aston Villa è stato premiato come migliore nel suo ruolo in Premier League per rendimento, ha giocato tre partite positive con l’albiceleste ma la lotta per la titolarità in porta rimane estremamente tesa e incerta: «[Dopo il colpo di Yerry Mina contro la Colombia, nda] sono uscito perché ho perso i sensi, il pianto e la rabbia erano perché era la mia seconda partita e non volevo uscire». A oggi Dibu ha un piccolo grande vantaggio: quello di essere più in forma di Armani. Dovrebbe bastare per fargli giocare questa Copa da titolare.

Agustin Marchesín (1988) – A rimpiazzare Martínez contro la Colombia è stato il portiere del Porto, che si è lasciato scappare al 95′ il colpo di testa di Borja, costato il 2-2. L’ex numero uno del Lanús ha come pregio principale la precisione nei lanci lunghi ma le sue possibilità di essere il titolare dell’Argentina sembrano sfumate da diversi mesi.

Juan Musso (1994) – Per il portiere dell’Udinese, una sola presenza: ventitré minuti in una soporifera amichevole contro il Marocco, ormai due anni fa. Probabilmente avrà più chances in futuro.

Gonzalo Montiel (1997) – Terzino destro e rigorista (tenete a mente) del River Plate. Giocatore completo, nato centrale di difesa ma trasformato da Marcelo Gallardo in uno dei migliori terzini del continente. L’Argentina non è certo un sistema tatticamente perfetto come la Banda, ma la sua pulizia nel triangolare con i compagni, specie sulla fascia dove orbita Messi, può generare molte situazioni interessanti.

Nahuel Molina (1998) – Cresciuto nel settore giovanile del Boca Juniors, il terzino destro si è imposto nel corso della stagione diventando progressivamente il titolare dell’Udinese. È una chiamata a sorpresa, perché in pochi si aspettavano che Scaloni escludesse Foyth, uno dei giocatori più utilizzati della sua gestione. La scelta di lasciare fuori il giocatore del Villarreal – nonostante fosse il difensore più forte con la palla tra i piedi – probabilmente è dipesa dalla sua scarsa affidabilità difensiva e dalla poca propensione per caratteristiche a giocare in ampiezza: Molina, in questo senso, colma il vuoto con un profilo più classico di terzino di spinta, propenso a cercare la profondità.

Nicolás Otamendi (1986) – L’immagine del rigore concesso alla Colombia nell’ultima partita prima della Copa América sintetizza bene il difetto più grande dell’ex centrale del Manchester City, che spesso annebbia pure i pregi: i cali di concentrazione, a cui seguono sempre decisioni impulsive e rischiose, se non errori plateali. Reduce da una stagione al Benfica iniziata malissimo, con il passare dei mesi ha normalizzato il suo rendimento. Durante la gestione Scaloni ha avuto diversi compagni di reparto ma è stato uno degli inamovibili.

Germán Pezzella (1991) – Nonostante il rendimento negativo alla Fiorentina, l’ex River Plate e Betis è riuscito a ritagliarsi un posto nel pacchetto di centrali. L’albiceleste è un conto in sospeso per il capitano viola, che tre anni fa ha visto infrangersi l’obiettivo di giocare il Mondiale in Russia. Scaloni gli ha dato spazio specialmente a inizio ciclo e lo ritiene affidabile come alternativa.

Cristian Romero (1998) – La prestazione contro il Cile del Cuti, all’esordio assoluto in albiceleste, poco dopo essere stato nominato miglior difensore della Serie A dopo un’annata pazzesca all’Atalanta, è stata un saggio di tutte le sue abilità: istinto per intervenire in uno-contro-uno, velocità nel recuperare con molti metri di campo alle spalle, aggressività in anticipo e gestione del pallone. È palesemente il centrale più in forma della squadra: se, di ritorno dal piccolo infortunio che lo ha tenuto fuori alla prima, riuscisse a prolungare per un altro mese questo mood da sceriffo, la debolezza difensiva dell’Albiceleste potrebbe farsi sentire molto meno.

Lucas Martínez Quarta (1996) – la stagione appena terminata è stata molto confusa, più per la Fiorentina che per l’ex centrale di difesa del River Plate, titolare a intermittenza nel suo primo semestre in Italia. Ha fatto coppia fissa con Otamendi prima del debutto di Romero, che probabilmente mischierà un po’ le gerarchie.

Lisandro Martínez (1998) – Giocatore totale e molto duttile, la sua non assoluta titolarità nell’Argentina è vissuta come un inspiegabile mistero della fede in Olanda, terra dove gioca difendendo i colori dell’Ajax. Tra i migliori della stagione dei Lanceri, il buon Lisandro garantisce buone proprietà di palleggio (è senz’altro il centrale più tecnico che Scaloni ha in rosa), ottime letture senza palla e una tigna di un certo spessore. Impiegabile anche come mediano, finora ha giocato soltanto due partite, sostituito entrambe le volte al 45’: il ct gli ha sempre preferito profili di marcatori più puri. Pur essendo un po’ fuori dalle rotazioni, rimane una soluzione con caratteristiche diverse rispetto ai compagni di reparto.

Marcos Acuña (1991) – Il modo sgraziato di muoversi, la corsa ingobbita e la risolutezza a contrasto hanno tenuto nascosto a lungo un laterale concreto e sottovalutato. L’ex Sporting, portato lo scorso anno a Siviglia da Monchi, può fare indistintamente il terzino o l’esterno sinistro, fin dai tempi del Racing, quando prendeva il fondo e crossava per un Lautaro Martínez a inizio carriera. I suoi punti di forza sono la corsa, il cross e una grande attenzione nei duelli difensivi: caratteristiche da carrilero molto adatte al gioco di Scaloni, che passa spesso dalle fasce per avanzare e scombinare la difesa avversaria. Dovrebbe giocarsi il posto di terzino con Tagliafico ma non è da escludere un impiego da esterno o mezzala come visto nella scorsa Copa América.

Nicolás Tagliafico: (1992) – Un altro totem degli unopuntozerissimi tifosi ajacidi, che lo farebbero giocare titolare anche al calcetto aziendale del giovedì sera. Terzino iper-affidabile che ha poco bisogno di presentazioni (e che ormai è pienamente nel suo prime), Tagliafico ha giocato la gara d’esordio e parte avanti nelle gerarchie ma potrebbe trovare in Acuña un concorrente agguerrito per un posto sulla fascia sinistra.

Leandro Paredes (1994) – Tutto passa per il numero cinco, come diceva Redondo. È lui che si abbassa tra i centrali a far partire l’azione, ad alimentare un gioco per vie centrali che nelle ultime apparizioni dell’albiceleste sembra molto più sicuro e insistito che a inizio ciclo. Però è un cinco che pensa da numero dieci (al Boca Juniors giocava proprio da enganche): non è uno di quei centrocampisti che scompaiono nell’azione, lui la determina con imbucate illuminanti per chi attacca la profondità, con cambi di gioco profondi, con giocate decisive anche in rifinitura. Con uno slot disponibile per Russia 2018, Sampaoli gli aveva preferito Enzo Pérez: da quando Scaloni ha dato il via al ricambio, è il giocatore più utilizzato di tutti.

Guido Rodríguez (1994) – Se si parla di vertici bassi invisibili, si parla del mediano del Betis, reduce da un’ottima stagione in Liga. Il gusto per la giocata e i picchi di genialità di Paredes, con Guido in campo, lasciano spazio a una continua e sapiente ricerca dello spazio giusto in cui farsi trovare, per smarcarsi o intercettare. Distribuisce in modo preciso ed essenziale, fa valere il fisico nel duelli in mezzo al campo. È molto diverso dal regista del PSG, ma è un sostituto all’altezza della situazione, per qualità e rendimento.

Giovani Lo Celso (1996) – Nella migliore Argentina possibile ci sono tre centrocampisti e uno di questi è il ragazzo di Rosario. Nello sviluppo del gioco è indispensabile per come sa farsi trovare tra le linee e associarsi, ma anche per come sa partire in progressione o rifinire l’azione con il suo mancino straordinario. Finora è stato impiegato come mezzala sinistra o esterno di centrocampo: è un titolare ma ancor non un inamovibile come Paredes e De Paul. Scaloni – che prima di tutti gli ha dato continuità in nazionale – a volte gli ha preferito profili diversi da schierare larghi, come Acuña nella scorsa Copa América o Ocampos, ma è lui il giocatore che cambia la qualità degli attacchi dell’Argentina.

Exequiel Palacios (1998) – Il suo limite sarebbe il cielo, ma molto più in basso ci sono gli infortuni, che finora lo hanno privato della scorsa Copa América e, si dice, di un trasferimento al Real Madrid durante uno dei suoi migliori momenti al River Plate. Anche quest’anno al Bayer Leverkusen è stato out per un lungo periodo e ha chiuso il campionato con sole nove presenze, ma giocherà una Copa in cui, un mese fa, dopo l’ennesimo infortunio, nessuno avrebbe scommesso di poterlo vedere in campo. È un centrocampista molto completo, aggressivo e dinamico senza palla, ma elegante, che ha nel passaggio in verticale la propria miglior dote con il pallone. Può giocare da interno o mezzala e, se sarà in buone condizioni fisiche, avrà sicuramente spazio.

Nico Domínguez (1998) – Centrocampista box-to-box totale dello spettacolare Vélez Sarsfield di Heinze, nel sistema del Bologna non ha trovato un contesto in grado di potenziare al massimo le sue migliori caratteristiche. È una mezzala in grado di coprire ampie porzioni di campo, di difendere in avanti e affondare tackle puliti, ma stesso tempo ha anche qualità, sa verticalizzare e, soprattutto, sfruttare il suo dinamismo per inserirsi in area: in Argentina era infatti l’incursore più pericoloso della sua squadra. Come Palacios, è uno dei migliori esponenti della nuova generazione di centrocampisti argentini, ma – sempre come il Tucu – ha chiuso la stagione con un infortunio: se sta bene si farà trovare pronto come alternativa.

Rodrigo De Paul (1994) – Dal momento in cui è stato il migliore in campo nel tremendo esordio contro la Colombia della scorsa Copa América, non è più uscito dalla formazione titolare. Interno a due, mezzala oppure un po’ più defilato sulla fascia destra, è influente in tutte le fasi della partita: quando l’Argentina cerca di avanzare con il palleggio fa valere la sua enorme qualità di tocco e di pensiero, associandosi con Messi e Paredes, quando invece la palla ce l’hanno gli avversari, si presta a un lavoro di quantità molto dispendioso. La sua evoluzione da semplice centrocampista creativo a giocatore totale è stata la svolta – avvenuta a Udine e testimoniata dal suo status di irrinunciabile anche nell’albiceleste – di una carriera che dopo Valencia si stava arenando ma che ora gli sta decisamente stretta.

Alejandro Gómez (1988) – Viste le caratteristiche del Papu e ciò che a Siviglia si era perso con l’addio di Banega, sembravano esserci tutti i presupposti per vedere l’ex Atalanta imporre la propria influenza anche in nuovo contesto ma alla fine ne è uscito un semestre davvero insipido. Nel dubbio, Scaloni ha deciso di portarselo in Brasile come variante tattica, nonostante in tutto il suo ciclo abbia giocato soltanto un minuto.

Ángel Di María (1988) – Scaloni sta guidando il ricambio generazionale dell’albiceleste con decisione e lungimiranza: sperimenta e avanza, scoperta dopo scoperta, giocatore dopo giocatore, verso una selezione nuova. In entrambe le edizioni di Copa América in cui è stato ct, però, non ha voluto rinunciato a Di María. Il Fideo, nel match delle qualificazioni ai Mondiali contro il Cile, è tornato titolare per la prima volta dopo la deludente Copa América 2019: una prestazione dimenticabile, se non per un paio di giocate emozionanti, di quelle che dialogano con gli anni delle finali perse e con la sensazione tremenda che non avere l’ala del PSG sia stato quel centimetro mancato – a Rio e a Santiago – per vincere un titolo. Oggi è tutto completamente diverso ma parlare di Di María significa parlare anche del suo conto in sospeso aperto con la Selección, e con quello di tutta l’Argentina. Lo spazio che avrà è una delle incognite più interessanti: troverà qualche occasione dal primo minuto o sarà solo un’arma di lusso per rompere gli equilibri a partita in corso?

Ángel Correa (1995) – Quest’anno ha segnato nove reti in campionato, il suo miglior risultato da quando gioca a calcio tra i pro. Portarsi Angelito in Copa significa avere un’arma in più da usare negli spazi stretti contro squadre chiuse, come lo è stato nello strepitoso finale di stagione in Liga, oltre che il giocatore con più colpi da potrero della rosa.

Nico González (1998) – Da settembre 2018, ovvero il momento in cui ha assunto l’incarico, Lionel Scaloni ha fatto debuttare 34 giocatori con la maglia albiceleste. Il giocatore simbolo di questo enorme lavoro di ricambio è senza dubbio l’esterno dello Stoccarda, cresciuto nel vivaio dell’Argentinos Juniors. Per Scaloni è un giocatore fondamentale, soprattutto in transizione: ha strappo, esplosività, capacità di inserimento nel mezzo spazio, un buon dribbling e un mancino potente. Lo ha utilizzato su tutta la fascia sinistra, sia da esterno offensivo, facendolo stringere spesso verso l’interno a fianco di Lautaro, a raccogliere palloni in profondità, sia addirittura da terzino sinistro. È un giocatore diverso dal resto del reparto ed è probabilmente uno dei motivi per cui un altro giocatore di strappo come Ocampos è stato tagliato dalla lista.

Lionel Messi (1987) – Al suo sesto tentativo in Copa América, è capitano di un’Argentina giovane, imperfetta ma in movimento. Le vittorie passano spesso dalle sue intuizioni, che siano un gol su punizione all’incrocio dei pali o un filtrante preciso al centimetro, ma la squadra – nonostante i suoi difetti – riesce a sviluppare gioco autonomamente senza costringerlo ad abbassarsi e trascinare un peso morto, come accadeva invece in passato. Ora sembra a suo agio, soprattutto quando può associarsi nello stretto con un supporting cast di giocatori in grado di intendere e riprodurre calcio nella sua stessa lingua.

Lautaro Martínez (1997) – Il nueve titolare dell’albiceleste di Scaloni e molto probabilmente di quelle che verranno dopo, nonostante lui preferisca vestire la diez. Con la Selección, circondato da centrocampisti tecnici e con Messi, la sua partecipazione alla manovra è diversa rispetto alla corrida con i tori di cui ormai è maestro in Serie A: è fatta di connessioni più sul breve ed è meno sollecitata ma porta il segno della crescita fatta all’Inter di Conte. E poi, finora, ha sempre dimostrato una certa regolarità contro le grandi squadre. La maglia non gli va larga.

Joaquín Correa (1994) – Lui e Nico González sono le armi dell’albiceleste in transizione, specialmente nel secondo tempo, quando la squadra inizia a cedere il protagonismo e a provare a sfruttare di più gli spazi. È stata una chiamata abbastanza sorprendente, visto il taglio di un giocatore molto apprezzato e utilizzato da Scaloni in determinati momenti della sua gestione come Ocampos.

Julián Álvarez (2000) – Scaloni ha provato fino all’ultimo a convocare l’acciaccato Alário, poi ha ripiegato su un profilo completamente diverso come il giovane talento del River Plate, il più forte della squadra, in proporzione. Álvarez, nel sistema di Gallardo, ricopre qualsiasi posizione offensiva, dalla punta all’esterno di centrocampo, mettendo al servizio della squadra un senso del gioco raro: ha tecnica, dinamismo, sa giocare in verticale e associarsi nello stretto. Indipendentemente dai minuti che avrà, è un nome da non perdere di vista, soprattutto quando ricomincerà la Libertadores.

Sergio Agüero (1988) – In attesa di capire se il fisico gli consentirà di vivere al Barcellona un finale di carriera da protagonista simile a quello di Suárez all’Atlético Madrid, il Kun è chiamato a farsi trovare pronto dietro Lautaro. La scorsa edizione di Copa l’ha iniziata da titolare a fianco del Toro ma quest’anno con ogni probabilità sarà il suo super-sub: al netto della sua condizione, la sua classe infinita fa sempre la differenza. Se utilizzato in proporzione a ciò che ha nelle gambe, è la miglior soluzione possibile per quel posto.

All. Lionel Scaloni: senza nessuna esperienza da primo allenatore, ha preso la panchina più difficile del mondo, nel momento peggiore possibile, e ha avviato un ricambio profondo che, a prescindere dai risultati sul campo, sarà una ricchezza per chiunque arriverà dopo. Con Scaloni si sono affermati giocatori estremamente talentuosi che già esistevano, coperti a lungo dalle vecchie gerarchie. A oggi, l’Argentina è una squadra che ha ancora alcuni grossi limiti, soprattutto in difesa e nella gestione delle partite, ma è in crescita: il suo modo di sviluppare gioco con il palleggio e costruire attacchi posizionali si basa su connessioni sempre più solide ed è migliorato molto nell’ultimo anno. Per ora rimane una squadra in costruzione – allenata da un tecnico che dovrà crescere con lei – ancora lontanissima dal Brasile, ma con una linea su cui lavorare.

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